Esiste la diffusa ed errata convinzione che tutti i tentati suicidi abbiano una base psicopatologica, ma in realtà per pochi ragazzi la psicopatologia è la causa del tentativo di suicidio, infatti la maggior parte di loro sono ottimi studenti ben inseriti nel contesto sociale, esenti da sintomi psichici o da anomalie della condotta.
L’errore più frequente e pericoloso che si compie è la banalizzazione, ovvero intendere il gesto come puramente “dimostrativo” e non proteso alla morte, o ancora peggio rinfacciare al ragazzo il gesto stesso. È fondamentale e assolutamente necessario invece drammatizzare il gesto e cercare di capire, facendosi delle domande.
Molto spesso il controllo non serve quasi a nulla, invece risulta determinante la presenza, il calore, il dialogo e l’espressione della volontà di impedire la voglia di uccidersi, le relazioni strette, affettuose e significative, e paradossalmente anche poter parlare della morte.
A seguito di un tentato suicidio bisogna parlare a lungo con la madre e il padre del ragazzo, in quanto il destinatario del gesto sono molto spesso i genitori, e il figlio non deve assolutamente pensare che il destinatario non abbia capito o recepito il suo messaggio, altrimenti il rischio del ripetersi di un tentativo di suicidio aumenta.
A seguito del gesto il ragazzo ottiene rilevanti vantaggi, ovvero un aumento dell’attenzione prestata, la fruizione delle preoccupazioni destate, la vitalità con cui i genitori lo pensano e lo temono allo stesso tempo, un incremento dell’autostima.
Bisogna fare però molta attenzione a non illudersi, in quanto i miglioramenti dopo l’agito anticonservativo non rappresentano una guarigione definitiva, in quanto il tentativo di suicidio ha origini profonde nella mente e nelle relazioni affettive.
Il trauma di questi ragazzi deriva dalla relazione con il futuro, in quanto si sentono incapaci di conquistarlo, inadeguati nel realizzare i processi di crescita, con la sensazione di essere rimasti senza un futuro, senza progetti, con la crescita bloccata. Inoltre dal proprio passato giungono solo lamenti infantili e istigazioni crudeli a sbrigarsi a realizzare dei compiti evolutivi per loro impossibili.
Gli adolescenti sono dei debuttanti nella gestione del dolore, e quando stanno male la loro sofferenza è senza riparo e mediazioni, perciò sono costretti a trovare delle soluzioni drastiche, che possono essere quelle di riversare il proprio stare male nelle relazioni, fare provare agli altri la propria sofferenza, o gettare nel corpo il proprio dolore.
Nei comportamenti a rischio si assiste sempre a un duplice movimento:
- Mettere a repentaglio la propria esistenza come se essa non fosse importante, come se ci fosse un disprezzo per la vita
- Un’enorme fiducia nei propri mezzi e nella propria natura permette di sottoporre sé stessi a rischi gravi con perfetta incoscienza
Si tende a pensare che non possa esistere un desiderio di morte negli adolescenti poiché dovrebbero essere solamente esuberanti e felici, ma in realtà il pensiero del suicidio è largamente diffuso nei giovani, infatti molti dei loro gesti si presentano talvolta come degli equivalenti del suicidio.
Quando lo scenario fantasticato del suicidio si fa più definito e si struttura in modo da comparire con insolita frequenza fino a diventare una seconda esistenza della persona, un rifugio, una risposta consolatoria, allora occorre prestare attenzione ai segnali e evitare la sottovalutazione e l’indifferenza.
Nella maggioranza dei casi prima di un tentativo di suicidio si assiste a un lungo intrattenersi del soggetto con fantasie via via più organiche e pericolose che consolidano la prospettiva suicidale come via d’uscita immaginaria rispetto ad una crisi.
Queste fantasie sono coltivate nel segreto, infatti i ragazzi non le comunicano quasi mai direttamente agli adulti. A volte provano a comunicare con molte cautele qualcosa agli amici più intimi, e le fantasie suicidali possono sparire perché un nuovo sentimento di condivisione, una profonda comprensione reciproca può generare una nuova speranza di vita, oppure possono prendere la forma di un’esperienza suicidale condivisa dove i due ragazzi si rinforzano reciprocamente.
Fortunatamente solo una percentuale molto ridotta fra i ragazzi che hanno pensato a suicidarsi mette veramente in pratica il proposito.
Sul piano dei contenuti compaiono alcune tematiche ricorrenti, come il sentirsi in un vicolo cieco, il sentirsi nudo di fronte al proprio fallimento, la sensazione di percepire l’arrivo della sciagura collocabile in un futuro prossimo e realistico.
Per il soggetto suicida muore innanzitutto il futuro, o meglio la prospettiva del futuro diviene talmente angosciosa che proprio da essa occorre evadere, infatti il suicidio si presenta come una fuga.
L’esperienza futura del soggetto provoca un insopportabile dolore psichico talmente alto per cui, pur di uscire dal vicolo cieco, diventa pensabile anche la progettazione della propria morte.
Il gesto suicidale si presenta quindi come l’esito coerente di un pensiero che produce un dolore psichico insopportabile. Quando questo dolore diminuisce e quando si aprono altre possibilità, il rischio suicidale tende a diminuire.
Sono 3 i fattori che determinano il passaggio all’agito anticonservativo:
- la pressione: l’effetto di fattori esterni sulla psiche dell’individuo
- il turbamento: uno stato generale di inquietudine
- il dolore psichico: uno stato di sofferenza psicologica insopportabile che costringe il soggetto a fare qualsiasi cosa pur di porvi termine
L’adolescente agisce il proprio malessere prima negli «ambienti naturali» (famiglia, scuola, ecc.). Quando questi non lo colgono o non sanno rispondere ai suoi bisogni, allora alza il tiro e porta il proprio disagio negli «ambienti di soccorso».
È necessario che l’ambiente di soccorso si mobiliti facendosi carico non solo della sofferenza fisica, ma anche di quella psichica espressa attraverso il comportamento autolesivo, si devono individuare risposte terapeutiche in stretta relazione tra loro (intervento neuropsichiatrico, psicologico e educativo), che prendano in considerazione l’adolescente nella sua complessità.
Le scelte terapeutiche dovranno coinvolgere le persone con le quali il soggetto si relaziona maggiormente, in primis i genitori, nella speranza che una modifica degli atteggiamenti da parte loro determini una riduzione del dolore psichico e del pericolo connesso alle fantasie di svergognamento.
Il ricovero spesso può rappresentare un ottimo strumento di intervento per offrire alla famiglia una pausa attraverso l’intervento concreto di altri adulti che svolgono al posto loro la funzione pensante, soprattutto quando l’angoscia del ragazzo è molto alta e l’ambiente familiare è incapace di contenimento.
È molto importante che l’indicazione per una presa in carico, rivolta sia all’adolescente sia ai genitori, venga data in modo fermo e prescrittivo. Ciò veicola il messaggio che l’operatore sanitario e sociale si pone come un adulto responsabile, che si fa carico della situazione nella sua complessità e nella sua realistica serietà, evitando di rimandare ai genitori una scelta troppo gravosa.
Gli agiti anticonservativi rappresentano l’unica difesa possibile, anche se molto costosa, contro un dolore psichico intollerabile e inelaborabile, perciò è necessario che l’ambiente adulto si costituisca come ambiente che offre risposte concrete ma pensate, azioni significative che l’adolescente possa cogliere e utilizzare senza sentirsi minacciato proprio da ciò da cui si difende.
BIBLIOGRAFIA
- Carbone P. (2010), L’adolescente prende corpo, Il pensiero scientifico editore
- Lemma A. (2011), Sotto la pelle, Milano, Raffaello Cortina Editore
- Piotti A., Charmet G. (2009), Uccidersi, Raffaello Cortina Editore, Milano