La paura della diversità

Ormai da diverso tempo si parla molto di migranti, immigrazione, accoglienza o non accoglienza. L’Italia in particolare sembra essere al centro di questa questione molto importante e pesante che coinvolge tutta Europa e non solo, ma che soprattutto coinvolge ognuno di noi nel nostro piccolo.

Siamo stati un popolo migrante, subendo anche molta discriminazione all’estero. Questo è un dato di fatto incontrovertibile che certamente dovrebbe avere il suo peso specifico nella valutazione dell’attuale migrazione dall’Africa, ma non è questo il punto su cui mi piacerebbe riflettere.

Ho fino ad ora riportato dei dati concreti che tutti noi, indipendentemente dall’orientamento politico, non possiamo che accettare, ma credo che sia necessario andare un pochettino oltre la realtà concreta che conosciamo bene, spingendoci più in là fino a riflettere su cosa significa per ognuno di noi lo straniero, il migrante, l’Africano, l’uomo di colore, il diverso, in estrema sintesi l’Altro.

Dovremmo provare a fare lo sforzo di liberare per un attimo la nostra mente dai fatti quotidiani che ci assillano le orecchie e gli occhi, dai fatti storici, dai pregiudizi, preconcetti e stereotipi che nel bene o nel male appartengono ad ognuno di noi, per concentrarci su come noi viviamo la presenza di un’Altro molto diverso da noi sul nostro territorio, in casa nostra.

Sono convinto che emergerebbero i più svariati vissuti, emozioni, sensazioni che sono patrimonio specifico di ognuno di noi, ma certamente ritroveremmo dei punti in comune che ci uniscono, e che ognuno di noi elabora e di conseguenza agisce nel mondo reale in maniera differente l’uno dall’altro.

Credo che al centro di tutte le nostre sensazioni vi sia la paura, realistica o meno poco importa, per un Altro sconosciuto e diverso da noi linguisticamente, culturalmente e fisicamente. Una paura legata all’ignoto, a qualcosa che non si conosce, a qualcosa di estraneo e di diverso da noi.

Per banalizzare il concetto è come se sbarcassimo su di un pianeta sconosciuto per quanto riguarda il suo territorio e i suoi abitanti. Ci sentiremmo sicuramente terrorizzati non perché già conosciamo bene i pericoli che ci aspettano, ma proprio per il fatto di nono conoscere, di dover affrontare qualcosa di ignoto e sconosciuto con tutte le incognite del caso.

Se ci riflettiamo bene, la reazione piuttosto fisiologica di fronte alla paura è quella di scappare dall’oggetto o dalla situazione spaventosa, o comunque fare in modo di tenerla il più possibile lontana da noi, demonizzandola e dandole tutte le connotazioni peggiori possibili, anche se poco realistiche.

Pensate banalmente alla paura degli insetti, che possono essere visti come esseri pericolosi perché possono pungere, come esseri schifosi e ripugnanti, come esseri “cattivi” che ti pungono quando meno te lo aspetti, e chi più ne ha più ne metta.

E’ tutta un’opera di connotazione negativa verso degli esseri viventi che oggettivamente non hanno nulla di diverso da altri né sono più pericolosi, e inoltre possono risultare parecchio utili per l’appetito umano se pensate al miele delle api.

Questa demonizzazione è certamente figlia della paura che possiamo provare nei loro confronti, che ci spinge a dipingerli nel peggiore dei modi possibili, per giustificare un nostro pregiudizio non fondato su alcun dato reale.

Un altro meccanismo che la paura può smuovere, oltre a quello dell’evitamento, è quello di cercare di eliminare o cancellare l’oggetto o la situazione temuta, in modo che non sia più presente il motivo del nostro terrore, adducendo come scusa quella di “fare fuori” qualcosa di pericoloso, quando questa è esclusivamente una nostra percezione soggettiva, che non per forza deve avere un riscontro nella realtà.

Un altro aspetto, oltre alla Paura dell’Altro, che mi premeva sottolineare è quello del “Contagio”, ovvero la percezione che se veniamo a contatto con qualcosa di estraneo, questo qualcosa rischia di mettere in discussione le nostre sicurezze, mette in pratica a repentaglio il nostro sistema di certezze, obbligandoci a integrare il diverso, il dissonante, il nuovo.

Capirete bene che per chi ha un sistema di certezze (modalità di vita, forma mentis, abitudini, ecc.) molto rigido e poco permeabile, accettare e integrare qualcosa di estraneo e di diverso può apparire come impensabile e spaventoso, in quanto rischia di mettere estremamente in crisi il noto, il sicuro, il rassicurante.

Ovviamente di fronte al rischio di mettere in crisi e in discussione, o addirittura di far capitolare il proprio “sistema”, la reazione fisiologica è di respingere, e demonizzare, qualsiasi cosa possa rappresentare una minaccia reale o fantasticata.

L’operazione, prima di tutto mentale, che invece sarebbe richiesta è quella dell’integrazione tra un qualcosa di nuovo, sconosciuto ed estraneo e il “sistema” preesistente. Questa operazione comporterà inevitabilmente un cambiamento dando alla luce un sistema nuovo, figlio appunto dell’integrazione.

Ciò che ho provato a descrivere è prettamente a livello mentale, ma come capirete bene è un qualcosa che può essere esteso anche ad altri campi. Ad ogni modo sono convinto che il punto focale sia la paura verso qualcosa di sconosciuto, e per questo pericoloso, minaccioso, spaventoso.

Se si riuscisse a diluire questa paura, in alcuni casi fobia, rendendo magari l’Altro meno ignoto e stigmatizzato, ma con delle connotazioni più realistiche per dargli forma, sono sicuro che l’integrazione sarebbe maggiormente accettabile e certamente più facile da attuare.

Se invece dovesse permanere un regime di paura, si cristallizzerebbe un sistema scisso composto dalla fazione dei “Buoni” e dalla fazione dei “Cattivi”, che rischierebbe seriamente di fare innalzare ulteriormente il livello di aggressività e violenza, difesa estrema da qualcosa che spaventa particolarmente poiché vissuto come estremamente pericoloso e minaccioso.

2019-01-18T10:06:15+00:00