È avvenuto un complessivo trasloco della famiglia attuale dai valori e dai comportamenti che caratterizzavano la “famiglia etica” all’area dei valori e degli stili che costituiscono lo statuto della famiglia “affettiva”
Nella società attuale ci troviamo di fronte a nuovi scenari familiari e a nuove forme di disagio adolescenziale che necessitano di una lettura estesa al contesto socioculturale e storico. Con i suoi imperativi di efficienza, competitività e rapidità, la società moderna è chiamata in causa direttamente nell’analisi dei cambiamenti che hanno coinvolto, o travolto, il sistema-famiglia.
I modelli culturali e valoriali dominanti tendono ad esaltare l’avere anziché l’essere, l’individualismo a scapito della socialità, e a rifiutare l’accettazione della sofferenza insita nella natura umana.
Diversi autori, fra cui Recalcati, parlano di abdicazione della funzione genitoriale non nel senso di un disinteresse nei confronti dei figli, piuttosto nel senso di una vicinanza eccessiva alla adolescenza dei propri figli, in direzione di una similarità tra genitore e figlio.
Si sta assottigliando gradualmente la differenza tra generazioni, come testimoniano le diverse forme di somatofilia e somatofobia in età adulta che non di rado raggiungono una valenza simile a quella delle dipendenze patologiche: un’attenzione spasmodica da parte degli adulti rispetto al corpo e all’estetica molto simile a quella degli adolescenti, nei quali però è necessaria per la consapevolezza di sé nel delicato passaggio all’età adulta.
Assottigliandosi le differenze e i conflitti tra generazioni, la famiglia si è adattata sempre più alle esigenze narcisistiche del figlio, seguendo come obiettivo dell’azione educativa la sua felicità spensierata, sollevandosi così dal compito gravoso di rappresentare il limite e la frustrazione.
Il rifiuto del modello educativo autoritario del passato ha portato, all’opposto, ad una eccessiva protezione dei figli, quasi ad un sostituirsi loro nella gestione delle difficoltà.
Charmet parla di una protezione nei confronti del figlio-Narciso per risparmiargli il dolore di esistere. Anziché ascoltare la domanda, seppur celata, che l’adolescente esprime di avere un riferimento forte, fermo che aiuti il processo identitario, il genitore si prodiga a spianargli la strada dagli ostacoli evitando l’incontro con il reale, con le proprie emozioni, ed impedendo che i ragazzi si mettano alla prova, sperimentando anche la possibilità di sbagliare.
I ragazzi si trovano, dunque, a dover cercare un modo per differenziarsi e per capire chi sono senza aver sperimentato una graduale tolleranza alle frustrazioni, un riconoscimento delle proprie emozioni, delle proprie potenzialità e anche dei limiti, con la presenza discreta e ferma delle figure di riferimento.
È avvenuto un complessivo trasloco della famiglia attuale dai valori e dai comportamenti che caratterizzavano la “famiglia etica” all’area dei valori e degli stili che costituiscono lo statuto della famiglia “affettiva”.
Ciò significa che i genitori intendono trasmettere amore più che regole e principi astratti, che aspirano a farsi obbedire per amore e non per paura delle sanzioni e che si piegano nei confronti del figlio nella prospettiva di intercettare quale sia la sua vera natura ed indole, cioè la sua vocazione e il suo talento.
Tale imponente trasformazione ha potentemente contribuito a trasformare la qualità della relazione fra genitori e figli, ed ha importanti conseguenze sui vissuti ed il dipanarsi dei processi di separazione che caratterizzano il processo adolescenziale.
I figli della famiglia affettiva attuale giungono perciò ad affrontare le burrasche del processo adolescenziale con una modesta esperienza di dolore e frustrazione alle spalle e ciò contribuisce ad innescare quei fenomeni di intolleranza nei confronti del dolore mentale che caratterizza l’adolescenza attuale e promuove quei comportamenti anestetici che la caratterizzano.
La nuova politica relazionale adottata dalla coppia genitoriale della famiglia affettiva sembra aver contribuito a spingere gli adolescenti verso un’interpretazione del processo adolescenziale che non è più comprensibile solo in termini “edipici”, con sentimenti di rabbia e colpa, ma che ha assunto le caratteristiche di un’adolescenza narcisistica o depressiva, con sentimenti di noia e tristezza.
I genitori:
- non pensano che debba rinunciare alla soddisfazione dei suoi bisogni e desideri naturali perché troppo sfrenati, irruenti, incompatibili con l’ordine e le regole che governano riti e ritmi di ogni famiglia
- non pensano che sarà loro compito fare da tramite fra i valori della società in cui il bambino crescerà e la sua mente, che costruirà un mondo di valori e regole che lo dissuaderanno dalla sua originaria natura perversa e antisociale
- non pensano che dovranno sottometterlo, anche con la minaccia e la somministrazione di castighi, al rispetto della loro autorità
- non progettano perciò di farsi obbedire per paura dei castighi, né ritengono che serviranno molte regole, ma ci vorrà molto amore
I bambini crescono circondati da adulti che gli fanno passare la paura iniziale, danno loro sicurezza, li proteggono e li amano. I bambini crescono bene e sono contenti e buoni se i genitori li capiscono, vogliono bene alla loro intrinseca natura e li assecondano nei loro naturali e sanissimi desideri.
Nasce così il progetto educativo ma soprattutto relazionale di farsi obbedire per amore e non per paura dei castighi e del dolore fisico o morale. Cambia radicalmente l’idea guida del modello educativo rispetto a quello che derivava, nei decenni precedenti, da una rappresentazione del bambino come piccolo selvaggio da civilizzare.
Il problema che contraddistingue il nostro tempo consiste proprio nell’indebolimento della funzione educativa all’interno dei legami familiari di fronte a una crisi sempre più radicale e generalizzata del discorso educativo.
Come vi può essere educazione, e dunque formazione, se l’imperativo che orienta il discorso sociale s’intona perversamente come un «Perché no?» che rende insensata ogni esperienza del limite?
Come si può introdurre la funzione virtuosa del limite se tutto tende a sospingere verso l’apologia cinica del consumo e dell’appagamento senza differimenti?
Questa crisi educativa ha certamente a che fare, almeno in parte, con “un’assenza di adulti”, con una caduta della differenza generazionale e della responsabilità che essa comporta.
È fondamentale la capacità degli adulti di fornire una testimonianza su come si possa esistere senza voler suicidarsi o impazzire, sulla capacità di rendere questa esistenza degna di essere vissuta.
È il doppio compito della funzione paterna: essere chiamati a introdurre un «No!» che sia davvero un «No!» e, al tempo stesso, saper incarnare un desiderio vitale e capace di realizzazione.
Bibliografia
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