Gardner, nel 1989, descrisse la Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS) come «manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente; il bambino dopo essere stato sottoposto a un efficace condizionamento, è dominato dall’idea di denigrare e disapprovare uno dei genitori in modo ingiustificato e/o esagerato».
Il rischio è quello di non riconoscere e non valutare il disagio emotivo dei minori, che in realtà svolgono un ruolo attivo nella realizzazione della PAS, e disconoscere il loro diritto di salute, se non nel sollecitarli a ristabilire la frequentazione del genitore rifiutato.
L’alienazione non è soltanto il frutto del genitore programmante, ma è una dinamica familiare nella quale tutti i membri della famiglia giocano un ruolo ed hanno proprie motivazioni.
Le radici del disagio possono risalire alla gravidanza, ai primi anni di vita e a conflitti di coppia inespressi. A volte questi bambini non sono percepiti come individui differenziati, ma emanazione del corpo materno, o con un paterno fragile che non è riuscito a sciogliere la fisiologica simbiosi madre-figlio.
Questi bambini sono assenti nella mente dei genitori fin dalla gravidanza e continuano a restarne fuori anche quando i genitori si separano, con una grave difficoltà nell’essere riconosciuti nella loro realtà e nei loro bisogni evolutivi. L’osservazione della loro storia fa tracciare un profilo evolutivo già danneggiato fin dalle prime fasi dello sviluppo, ovvero un incompleto processo di separazione-individuazione.
Il rifiuto del genitore alienato non ha un diretto nesso di causalità con le manovre o i condizionamenti del genitore alienante, ma rappresenta un sintomo di una situazione clinica complessa che il bambino mette in atto per proteggersi dalla sofferenza.
La rottura del legame tra i genitori e l’intensa conflittualità fanno riemergere nel bambino ansie arcaiche abbandoniche, angosce persecutorie catastrofiche e depressive. Questi sentimenti penosi costringono il bambino a utilizzare meccanismi di difesa rigidi per proteggersi dalla sofferenza, e a distorcere il proprio sviluppo.
Per il timore di perdere le garanzie affettive e di cura e di rimanere senza punti di riferimento chiari e rassicuranti, questi bambini cercano di individuare da chi possano avere la garanzia e la certezza di almeno un riferimento affettivo stabile, a qualsiasi prezzo, e utilizzano modalità «adesive» come tattiche per la sopravvivenza.
Questo funzionamento difensivo lo porta a sviluppare sfiducia negli attaccamenti, e nella sua evoluzione rischierà di rifiutare anche l’altro genitore, e ciò verrà ripetuto in tutti i legami della sua vita.
Il Bambino NON PAS:
• cerca e chiede di mantenere la relazione con entrambi i genitori
• ha emozioni molto intense e dolorose e si illude di mediare
• non si sente sereno
• è sopraffatto dai sensi di colpa di essere responsabile della separazione
• descrive i fatti familiari con ambivalenza e dolore e un linguaggio compatibile con l’età
Il Bambino PAS:
• interrompe, rinuncia al legame con uno dei genitori, rifiutandolo. Si allea con l’altro genitore
• congela le emozioni. Non sente i conflitti
• è apparentemente sereno se non incontra il genitore rifiutato
• non ha sensi di colpa, malgrado le cose terribili che dice. Le responsabilità sono sempre del genitore rifiutato
• descrive i fatti familiari connotati da certezza, con linguaggio improprio per l’età, come se recitasse un copione
I Bambini PAS non attaccano solo il genitore reale, ma anche la corrispondente immagine interna del genitore.
Quando il bambino è spinto a rinunciare all’incontro con il genitore non affidatario, ciò non è dovuto al timore o al rifiuto delle sue caratteristiche personali e del loro rapporto, ma alla percezione di non potersi appoggiare a lui e alla paura di perdere l’appoggio dell’altro genitore, percepito non come il migliore genitore, ma come il genitore più forte.
Il bambino ha bisogno di instaurare un rapporto di tipo fusionale, esclusivo e idealizzato, scevro da conflitti e tensioni, incentrato sul comune bisogno di cancellare un passato doloroso e sofferto per entrambi. In realtà i bambini, nel loro mondo interno, hanno un gran desiderio del genitore rifiutato.
Il bambino fa di tutto per proteggersi dalla sofferenza, ma poi il rifiuto-perdita di un genitore è percepito come un abbandono, e il genitore è colpevole di non essere sufficientemente forte da non farsi escludere.
L’introiezione di un vissuto di abbandono attiva poi l’ansia e il timore di essere abbandonato anche dall’altro genitore. Una catena che porta a una difficoltà o incapacità a stabilire rapporti affettivamente importanti per il timore di essere sempre abbandonati.
Un genitore che favorisce questi atteggiamenti scissi, non si rende conto del proprio potenziale danneggiante, non comprende che quando il figlio si accorgerà di essere usato o che non gli è stata data la possibilità di avere la garanzia di entrambi i genitori, la sua fiducia nel genitore ne sarà danneggiata e con essa anche l’immagine interna.
Il vissuto di perdita e di danneggiamento, riguarderanno le immagini interne di entrambi i genitori. La distruzione delle immagini genitoriali determina effetti negativi sulla personalità del bambino, portando allo sviluppo di vari danni nella vita emotiva, sociale e affettiva.
Gli esiti possibili:
• la persistenza della condizione simbiotica può portare a una chiusura al mondo
• i vissuti di perdita, il lutto e le angosce abbandoniche possono portare a patologie depressive
• la distorsione del rapporto con la realtà e i meccanismi difensivi di scissione e negazione possono portare a patologie nell’area psicotica
• discontrollo degli impulsi dall’adolescenza
• fobia sociale
• comportamenti antisociali
• insuccesso scolastico o lavorativo
• insuccesso affettivo con ripetizione nella vita dell’esclusione dell’altro
Bibliografia
• Montecchi F. (2014), I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS (Sindrome di Alienazione Genitoriale). Massacro psicologico e possibilità di riparazione, Franco Angeli, Milano