La Psicoterapia per chi non l’ha mai praticata, in veste di terapeuta o paziente, può apparire come qualcosa di assolutamente oscuro, poco comprensibile e intellegibile.
Per prima cosa mi preme sottolineare che non bisogna essere “pazzi”, ovvero avere delle gravi patologie mentali, per accedere ad un percorso di psicoterapia, infatti sono in genere le persone più comuni e con problematiche simili a chiunque altro (problemi relazionali, difficoltà lavorative, lutti, ecc.) ad utilizzare questo valido strumento.
La Psicoterapia è uno strumento psicologico, maneggiato da uno psicoterapeuta, utile a:
– aumentare la conoscenza e la consapevolezza di sé stessi esplorando le proprie risorse e fragilità.
– permettere di vedere i propri problemi o difficoltà da un’angolatura differente.
– osservare la ripetitività dei nostri comportamenti o relazioni disfunzionali al fine di poterli finalmente modificare.
– esplorare vissuti ed emozioni dolorose, riuscire a riconoscerle, gestirle e tollerarle meglio senza che divampino in modo incontrollabile.
– far cessare i sintomi (per esempio gli attacchi di panico), comprendendo il loro significato ultimo ed il motivo per cui sono emersi così prepotentemente.
– aumentare la capacità di affrontare e superare eventuali future crisi emotive.
Una volta terminato di leggere questo lungo elenco, sono convinto che non avrai ancora sedato tutti i tuoi dubbi e le tue domande. Sono sicuro che ti starai chiedendo qualcosa di questo tipo:
Ora so i benefici della psicoterapia, ma cosa succede in quella stanza? Cosa dice o fa il terapeuta?
Per prima cosa la Psicoterapia è un tipo di terapia che si svolge sempre in due, nel senso che sia il terapeuta che il paziente devono sapersi mettere in gioco, accettando entrambi di navigare in mari sconosciuti e dolorosi per trovare insieme una via d’uscita.
Il terapeuta non si erge a onnisciente, donando la sua conoscenza ed i suoi saggi consigli su come vivere la propria vita, ma mette a completa disposizione del paziente la sua mente, la sua “macchina pensante” che ovviamente è necessario che sia ben oliata, per pensare pensieri mai pensati, emozioni sconosciute o troppo dolorose, vissuti o esperienze tenute il più lontano possibile dalla propria mente.
E’ sicuramente possibile che nel corso della terapia possano emergere i famigerati “traumi infantili” o i “conflitti irrisolti”, ma è qualcosa a cui si accede gradatamente insieme con il paziente, e non in modo repentino e magico senza che l’individuo faccia alcun lavoro su di sè.
Alcune volte il terapeuta rimane in silenzio ad ascoltare la narrazione del paziente, e forse in questi frangenti potrebbe sembrare che lo psicologo se ne freghi, sia passivo, pensi ad altro, o addirittura si addormenti.
In realtà anche la funzione dell’ascolto è una funzione di pensiero, in quanto il racconto del paziente viene pensato, elaborato e digerito in silenzio per restituire una interpretazione, una riflessione, una domanda, una intuizione, un’emozione provata o sentita nell’altro.
Il terapeuta non deve mai avere la presunzione di possedere le risposte in tasca o la ricetta pronta, ma deve avere l’umiltà di mettere al servizio dell’altro il proprio apparato pensante per cercare insieme al paziente delle risposte, dei significati, un senso a ciò che gli sta accadendo e che lo fa soffrire.
E’ come se il paziente portasse un grande peso, chiedendo disperatamente che qualcuno glielo tolga o per lo meno che qualcuno lo sorregga insieme a lui. Il terapeuta non può magicamente togliere completamente il peso dalle spalle del paziente, non può sostituirsi a lui, ma può mentalmente prendersi sulle spalle l’altro ed accompagnarlo in un lungo e tortuoso tragitto che porterà finalmente a scaricare questo benedetto peso, accettando di rimanere con delle cicatrici.
Il terapeuta sicuramente deve condividere empaticamente la sofferenza del paziente e prendersi la responsabilità di aiutarlo, ma tutto questo non nel giro di pochi incontri o per osmosi. E’ spesso necessario un percorso lungo, tortuoso, faticoso, doloroso e non privo di ostacoli e cadute, che rappresenta però l’unica strada veramente percorribile.
Un altro tema centrale è la questione del lettino, che viene utilizzato dai terapeuti ad orientamento psicoanalitico. Non è obbligatorio usarlo e non è indicato per tutti i pazienti, ma in alcuni casi rappresenta uno strumento molto utile.
Il lettino principalmente serve per entrare maggiormente a contatto con i propri vissuti e le proprie emozioni, e permette di passare più liberamente da un pensiero all’altro rispetto ad una posizione vis-a-vis, ovvero terapeuta e paziente seduti uno di fronte all’altro
Nella mia esperienza clinica ho notato che spesso si ripropongono tra i pazienti alcune paure o timori. Credo siano tre i principali:
– temere che l’intervento psicologico non abbia mai fine
– temere di sviluppare un rapporto di dipendenza nei confronti del terapeuta, al punto da non poterne più fare a meno
– temere di fare emergere degli aspetti di sé sconosciuti, che forse sarebbe meglio tenere nascosti
E’ sicuramente vero che all’inizio di un percorso psicoterapeutico non si può prevedere la durata dell’intervento perché sono sconosciute le tempistiche interne di cambiamento del singolo paziente. Ciò però non significa assolutamente che la psicoterapia duri in eterno, ma deve essere immaginata come una stampella temporanea che aiuta a superare i momenti di crisi, che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo attraversato.
La relazione che si dovrebbe sviluppare con il terapeuta è basata sulla fiducia e sull’alleanza per condurre insieme un lavoro difficile. E’ vero che può accadere che un paziente senta di non poter fare da solo senza l’aiuto del professionista, ma questo può rappresentare una fase della terapia, la quale deve poi invece ovviamente puntare a rendere il paziente indipendente e capace di affrontare e gestire gli ostacoli che la vita inevitabilmente gli propone.
Inoltre è giusto ricordare che il paziente è libero di interrompere la terapia in qualsiasi momento, facendo magari solo un ultimo colloquio per fare il punto della situazione, e dirsi fin dove ha portato il lavoro psicologico svolto e gli aspetti su cui sarebbe ancora necessario lavorare.
In ultimo è inevitabile che degli aspetti di sé poco conosciuti o tenuti nascosti perché percepiti come troppo pericolosi emergano delicatamente e gradatamente, ma ciò è necessario affinché non disturbino sottotraccia la vita del paziente in quanto non pensati, non elaborati e non digeriti, e perciò liberi di influenzare le azioni ed il mondo interno dell’individuo.
So perfettamente di non aver probabilmente toccato tutti gli aspetti di una Psicoterapia, ma spero comunque di aver gettato un pò di luce nell’oscurità in cui è avvolto questo percorso psicologico.
Ad ogni modo per qualsiasi domanda, dubbio, riflessione, critica, non esitate a contattarmi…